lunedì, ottobre 16, 2006

Le Belle Arti di Longines

Le Belle Arti di Longines

il gusto del tempo


E’ avvenuto a metà dello scorso mese, a Venezia e nella straordinaria cornice del Museo Peggy Guggenheim, il lancio della collezione BelleArti, una serie di orologi realizzati da Longines ispirandosi alle linee in voga durante il periodo dell’Art Déco, in particolare a quella tipica fisionomia a forma di botte, che gli addetti ai lavori dell’orologeria chiamano "tonneau" e che risulta piuttostoe originale ed elegante al polso. Gli stilisti della storica maison di SaintImier hanno preso come modello per questa nuova creazione un esemplare conservato nel Museo Longines e datato 1929. Una scelta tesa a diversificare la produzione, visto che il marchio — oggi parte di The Swatch Group insieme ad un’altra quindicina di nomi famosi in orologeria, tra cui appunto Swatch e Omega, Rado, Breguet e Tissot — si era negli ultimi tempi identificato più che altro con una produzione connotata all’uso sportivo, pur avendo avuto in passato nel proprio repertorio anche orologi classici ed eleganti. Ed è appunto questa tradizione che Longines vuole oggi richiamare con la serie di orologi BelleArti, una collezione che si articola in numerose versioni.
Caratteristica comune è la cassa di forma tonneau, quello che cambia sono le sue dimensioni, che variano della misura grande da uomo a quella mini da donna, passando per un paio di taglie intermedie. Tra le molte versioni, si distingue quella realizzata con la cassa in oro rosa incastonata di diamanti lungo i due lati maggiori e rifinita con un cinturino in satin nero (nella foto, costa 2.480 euro). Tutte le altre versioni sono realizzate in acciaio e incrociando quadranti in madreperla con quelli di color argento o nero, con possibilità di decoro in diamanti per le collezioni femminili. I movimenti sono tutti al quarzo tranne che per una serie limitata dotata di meccanismo a carica manuale.

Binda, in un secolo da bottega a industria che impone i suoi marchi su tutti i mercati



Fondata nel 1906 l’azienda ha oggi un fatturato di 230 milioni di euro, che realizza con i marchi Wyler Geneve, Breil. La diversificazione in profumi, gioielli e pelletteria

ANGELO CIMAROSTI

Michelino da Besozzo fu artista elegante, rappresentante del gotico a sud delle Alpi nel tardo Medioevo. Preciso e minuzioso, non tradì mai la sua vocazione ai fondi oro, ai particolari e ai dettagli delle miniature. Si vede che a Besozzo, centro in provincia di Varese, la precisione e l’eleganza sono virtù ereditarie, come l’aria che scende incanalata dal lago Maggiore. A cinque secoli di distanza dall’epoca di Michelino, nel 1906, Innocente Binda, figlio di piccoli commercianti, fonda un’attività legata alla minuziosità, all’oro, ai misurati calibri delle casse degli orologi, dei meccanismi millimetrici, della tradizione che veniva da oltre le montagne. E’ la nascita della Binda, storica azienda milanese che festeggia il secolo di attività attraverso mille cambiamenti ma sempre fedele al mondo dell’orologeria, con un fatturato consolidato di 230 milioni di euro e molto da chiedere al futuro.
"Nonno Innocente racconta l’attuale amministratore delegato del gruppo, il nipote Marcello capì che gli orologi di pregio avevano bisogno di una struttura di assistenza e di ricambi facile da raggiungere, senza che i clienti dovessero rapportarsi direttamente con gli svizzeri". LA cosa funziona e appena dieci anni più tardi Innocente, con una dozzina di dipendenti, si trasferisce nel cuore di Milano, che allora era "la città che sale" di Boccioni. Anche gli affari salgono, e in fretta. Nel 1932 inizia la vendita degli orologi Wyler, marchio a cui, data l’epoca, si aggiunge un autarchico ma efficace nome "Vetta", frutto anche della passione per il ciclismo del fondatore. La Wyler Vetta si fregia di testimonial di eccezione: è al polso di campioni come Combi e Meazza, quelli della nazionale che vince il primo mondiale di calcio. La promozione è sempre stata un pallino dei Binda, e continua ad esserlo. Negli anni ’50, per dimostrare la robustezza dei meccanismi, gli orologi vengono impietosamente lanciati dalla Tour Eiffel. Decenni dopo, il marchio di famiglia Breil (dal 1942) si caratterizza per spot famosissimi, da "Toglietemi tutto ma non il mio Breil" all’attuale "Don’t touch my Breil". L’epoca, gloriosa, di nonno Innocente è finita. Fu un imprenditore paternalista e oculato, anche dal punto di vista immobiliare. L’attività, nel centro di Milano, si sublimò in una sorta di storica "cittadella" in via Cusani, dove Innocente fece crescere la sua azienda comprando un cortile dopo l’altro, e accorpando le costruzioni, tra laboratori, uffici e magazzini. L’azienda passò di mano, prima al figlio Mario, l’attuale presidente, poi ai nipoti Marcello, 46 anni, e Simone, 41, con la delega finanziaria. Nel ‘93 il marchio Wyler viene acquisito in blocco dalla famiglia, perde il "Vetta" e si trasforma in Wyler Geneve, con un posizionamento di alta gamma. La parte del leone la fanno da un lato Breil, dall’altra la lunga serie di licenze, come D&G, Dolce e Gabbana, Time, Nike Timing, la distribuzione di cellulari di nicchia Vertu, il lancio delle linee gioielli, profumeria, e pelletteria a marchio Breil e Trudi Jewels.
La grande sfida, dal 2002, è quella dei negozi monomarca, con Breil: "Tutto in un’ottica di allargamento globale. Abbiamo inaugurato filiali a Shanghai, a Miami, a Monaco, Hong Kong e Barcellona. Vogliamo che i mercati conoscano Breil in modo non filtrato. E teniamo a consolidare la nostra immagine in Italia". A questo si aggiunge la campagna allo studio nel 2007. Cambierà il "Don’t touch my Breil". Insomma, almeno una volta in un secolo i Binda permetteranno di toccarlo.