domenica, agosto 02, 2009

L'orologio svizzero prova a ripartire



L'intrepido prozio, Roald Amundsen, incide il nome nella storia come primo uomo a raggiungere il Polo Sud, nel 1911. Il nipote, Jorgen Amundsen, professione designer, lancia nel 2002 il primo e unico marchio norvegese di orologi, naturalmente ispirati al celebre parente e in grado di fronteggiare le condizioni estreme di freddo. Da lui stesso testati nei laghi ghiacciati dei lunghi inverni di Oslo. Nel gennaio 2007, il giovane Amundsen si allea con una piccola ma preziosa manifattura ginevrina, la Montres Villemont, fondata dall'esperto Olivier Müller, ex Chopard ed ex Omega. Il debutto della Villemont Group è battezzato con il lancio di una tiratura limitata commemorativa di Mario Julen, il primo elvetico a scalare l'Everest.

Due anni dopo, i 14 addetti della joint venture, la cui start up è finanziata dal fondo ValleyRoad Capital, restano a casa: il Tribunale di Ginevra sentenzia il fallimento della maison. Motivo? L'annullamento di ordini dall'Asia e dall'Est europeo provoca l'asfissia finanziaria: mancano 265mila euro al mese. Nonostante che, nei primi nove mesi del 2008, il fatturato sia raddoppiato a 1,6 milioni di euro.
È il primo fallimento, seppur micro, nella storia della ricca e potente industria svizzera di orologi d'alta gamma, nata alle soglie dell'Ottocento, leader mondiale con il 95% della produzione di pezzi in vendita oltre i mille franchi (circa 660 euro). Uno schizzo di fango su tutto il settore che scuote il mondo economico e finanziario rossocrociato. Provocando proteste a valanga sul blog della Tribune de Genève: «Anziché finanziare l'Ubs, perché il governo non dà una mano all'industria orologiera?», scrivono adirati i lettori a difesa del fiore all'occhiello della Confederazione.

A fine aprile porta i libri in Tribunale la Setco di Chaux-de-Fonds, 47 addetti, specializzata in casse in legno pregiato per orologi, per la cancellazione di un lavoro come terzista di un big di Ginevra. Le imprese tacciono, i sindacati no: secondo l'Associazione dei lavoratori dell'industria svizzera del settore, i tagli sono già a quota 3mila, con la disoccupazione cresciuta all'11% in giugno. Secondo gli analisti, è solo l'inizio.

A parte le società quotate, la maggior parte delle informazioni economico-finanziarie delle aziende è top secret, com'è consuetudine in Svizzera. Niente cifre, per carità. Poche righe di comunicato quando c'è da annunciare il cambio del Ceo, evento non secondario nella vita di un'azienda, come è recentemente accaduto alla Audemars Piguet e alla Rolex. Enfasi mediatica sul legame con le celebrities: Monica Bellucci è l'unica testimonial di Cartier per orologi e alta gioielleria, Michael Phelps è sponsorizzato Omega, Roger Federer da Rolex. Le inaugurazioni delle boutique tutte marmi e legni pregiati – negli ultimi tempi soprattutto in Asia e Medio Oriente – si trasformano in eventi globali, con l'arrivo su lucide limousine delle star hollywoodiane. Le stesse che spiccano sul red carpet delle feste esclusive "targate" Chopard sulla Croisette in occasione del Festival di Cannes e Jaeger-leCoultre alla Mostra del cinema di Venezia.
La crisi, però, è lì, sancita dalle statistiche della Federazione dell'industria elvetica del settore (Fhs): dopo il record 2008 delle esportazioni, che ha trascinato il boom dei fatturati e dei profitti, nel primo semestre dell'anno il calo è stato del 26% in valore e il mese di giugno si è rivelato il peggiore da due decenni.

Secondo gli ottimisti, si va verso un inevitabile rimbalzo entro fine 2009, perché si tratta prevalentemente di destoccaggio da parte della distribuzione che, assillata dal credit crunch, ha rarefatto gli ordini: le due fiere specializzate, Sihh e Baselworld, hanno registrato un calo dei compratori stimato nel 20 per cento.
Secondo i pessimisti, sono proprio i consumatori ad avere archiviato quello shopping compulsivo che per anni ha fatto brillare i conti dei produttori svizzeri. Una febbre un po' insensata che ha animato indiscriminatamente i Paperoni e i benestanti di Hong Kong e Stati Uniti, Francia e Italia, Giappone e Germania, solo per citare i primi sei mercati di sbocco. Per non parlare delle economie emergenti, come la Cina, dove i consumatori e le consumatrici sembravano ancora più orgogliosi di esibire l'ultimo modello griffatissimo nel board della banca d'affari e nello studio legale, sul campo da golf o nel porticciolo, nelle feste di compleanno o agli eventi charity. L'euforia aveva suggerito ai big brand di sfornare a getto continuo orologi sempre più preziosi, dando sfoggio all'ardita creatività del design e all'abilità da amanuensi degli artigiani elvetici: meccanismi sempre più complessi, incastonature di diamanti, lavori di smaltatura, riedizioni di modelli vintage leggendari, abbinamenti con auto e yacht da sogno e, ovviamente, la "chicca" delle edizioni limitate. Anche piuttosto eccentriche, come la riproduzione sul quadrante del cielo stellato di una città (primo ordine: Kiev). I prezzi? In linea con l'esclusività: quest'anno la Breguet (gruppo Swatch) ha lanciato il Grand Complication Double-Tourbillon da 500mila euro al pubblico, mentre una manifattura sconosciuta alla maggioranza del pubblico come Greubel Forsey ha proposto il Quadruple Tourbillon Differentiel Sphérique da 420mila. «Ma – rileva un report di Vontobel Equity Research – gli orologi con un prezzo oltre i centomila euro, che erano stati lanciati in gran quantità nel 2008, sono decisamente meno numerosi quest'anno».

fonte: sole 24 ore


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